... Nelle sere d’estate incrociava l’Oreste che andava a far erba per i
conigli, con il falcetto appeso alla cintura e un grande sacco di iuta
sotto il braccio, diretto ai margini incolti dei prati, dove i sancarlini
dal profumo pungente crescevano alti e rigogliosi.
Venanzio lo salutava entrando nel cortile, animato e fervente di
attività. Si fermava sotto il portico, con gli occhi sui figli, impegnati
negli ultimi giochi, prestando un orecchio distratto alle parole della
moglie. Gli piaceva star fuori ancora un po’ a godersi la sera. Aveva in mente solo la Dirce, allora, e non pensava che a lei mentre guardava i vecchi muri e le cime degli alberi a cui la luce del tramonto strappava bagliori dorati.
A poco a poco, pozze di oscurità avvolgevano il tetto dei fienili e
delle stalle, scendevano a inghiottire i porticati di fronte a lui,
nascondendo i rastrelli, le vanghe, i secchi e le carriole. Tutto ciò che
durante il giorno aveva aiutato l’uomo nella sua fatica ora veniva
stretto nell’abbraccio oscuro e silenzioso del riposo notturno.
Lui solo non trovava pace.