Carlo Fontana
CARLO FONTANA
pioniere del socialismo,
maestro antifascista,
primo sindaco di Magenta
nell'Italia repubblicana
CARLO FONTANA
pioniere del socialismo,
maestro antifascista,
primo sindaco di Magenta
nell'Italia repubblicana
CARLO FONTANA
pioniere del socialismo,
maestro antifascista,
primo sindaco di Magenta
nell'Italia repubblicana
Introduzione
“Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano,
scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle
scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere …”.
Vincere la “reticenza” di una città, scongiurarne il silenzio o il suo confinamento
tra le “città invisibili” di un geniale scrittore, significa richiamare
alla memoria segni, eventi e simboli della sua storia, da leggere ed
interpretare. Le linee del tempo, simili a quelle di una mano, ne tracciano
l’evoluzione, ne evidenziano le discontinuità, si lasciano interrogare sui
suoi futuri destini.
Talvolta fra le pieghe della sua storia emerge una figura che in essa si riconosce,
ne condivide le sorti, ne favorisce la crescita, coagulando intorno a
sé forze emergenti. Tale è Carlo Fontana per Magenta, sua città natale.
E proprio la città, alla fine del XIX secolo, si configura come il luogo per
eccellenza della società moderna, nella quale, attraverso processi di industrializzazione,
urbanizzazione e crescente organizzazione sociale ed amministrativa,
si costituiscono nuovi gruppi che si accingono ad entrare sulla
scena politica.
Il percorso biografico dell’amministratore e uomo politico magentino,
promotore di istituzioni sociali e animatore di iniziative culturali, è connotato
pertanto da una vivace dialettica tra sfera privata e dimensione
pubblica, storia individuale e fenomeni collettivi. Se Magenta è luogo delle
origini e degli affetti, essa rappresenta, nel contempo, la “culla” della sua
formazione di “riformatore e apostolo socialista”, che denuncia i bisogni
della sua comunità, nello sforzo di comprenderli, per poter dare loro una
risposta. Lo sguardo è rivolto alle classi umili, da cui proviene, al loro stato
di asservimento e di ignoranza, al senso di giustizia violato, che ne caratterizza
la condizione.
Da maestro elementare, Fontana concepisce l’educazione come strumento
privilegiato per porsi al servizio del popolo e favorire, attraverso l’istruzione,
quel processo di promozione umana, da cui scaturisce il reale progresso
sociale. Come esponente socialista, insieme a Camillo Formenti,
legato a lui da sincera amicizia ed affinità politica, pone mano ad un’opera
di organizzazione dei contadini e degli operai magentini, attraverso una
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“propaganda evangelica”, in cui l’appello all’idealità cristiana incarna quel
sentimento religioso, da lui appreso nell’ambiente famigliare e assunto
come guida morale della sua vita.
Grazie anche al sostegno della “Società Umanitaria”, nascono i primi circoli
sociali, come la “Giovane Italia” e l’ “Unione”, successivamente la società
di mutuo soccorso “Fratellanza”, la cooperativa di produzione e consumo
“Alleanza”, la biblioteca popolare.
L’istituzione a Magenta della succursale della Camera del lavoro di Milano
e della sezione del partito socialista, di cui egli sarà appassionato sostenitore
e propagandista capace, anche sulle pagine de “La Battaglia Socialista”
e di altri periodici, consoliderà quel graduale e doloroso processo di rappresentanza
sindacale e di maturazione politica del proletariato agricolo
ed industriale della zona che, intorno agli anni Venti, darà vita alle prime
forme di lotta organizzata per la tutela degli interessi dei lavoratori. Emblematico
in tal senso lo sciopero, di carattere economico con risvolti politici,
scoppiato nell’aprile del ‘19 ad opera di 1200 operai “rossi”, su 1800 lavoratori,
nella fabbrica di fiammiferi “De Medici”.
Dopo le sofferenze della Grande guerra, alla quale il pacifista Carlo, in divisa
grigioverde, “consegna il suo corpo, ma non l’anima”, mosso dalla
speranza rivoluzionaria che agita molti giovani socialisti, infervorati dalla
“parola di Lenin”, matura la determinazione di scendere in campo, insieme
ai “suoi”, per la conquista del Comune. L’esito quasi plebiscitario delle
elezioni amministrative del 1920, iscriverà Magenta nella “storia del socialismo
municipale”, con la prima giunta di sinistra, guidata dal sindaco
Formenti e, tra gli altri, dal maestro Fontana, in qualità di assessore alla
pubblica istruzione.
Sarà un laboratorio politico-amministrativo, in cui i socialisti magentini
inizieranno a misurare le proprie aspirazioni con i concreti problemi del
governo della città, non senza errori ed ingenuità, che segneranno la fine
prematura di quell’esaltante esperienza.
A pochi mesi dal Congresso di Livorno del 1921, si costituisce “ad opera
dei secessionisti” una sezione del partito comunista, che provocherà
“danni non indifferenti al movimento proletario di Magenta”. Ma ad interrompere
l’ascesa di quest’ultimo sarà il dispiegarsi della reazione fascista,
inducendo alle dimissioni la seconda giunta socialista, eletta nel 1922,
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dopo aver colpito al cuore la sua organizzazione con la devastazione della
cooperativa “Alleanza”, diretta da Brenno Cavallari, martire a Fossoli nel
1944. Ha così inizio l’ “era triste”, come stigmatizzato dal Fontana, durante
la quale egli sperimenterà forme di resistenza civile, attraverso contatti
clandestini a Milano con il gruppo dei maestri socialisti, tra i quali spicca
la figura di Salvatore Principato, giustiziato a Piazzale Loreto, durante la
repressione nazifascista; seduto “in cattedra”, attuerà il “sabotaggio” dell’educazione
fascista, mettendo in atto un’azione negativa, ma fruttuosa, con
la sua parola e il suo esempio. Nel clima autoritario e antidemocratico del
Ventennio, esplorerà nuovi cammini di spiritualità e manterrà vivo l’amore
per la libertà d’espressione, nei limiti dell’autonomia culturale tollerata
dal regime, attraverso la scrittura teatrale e librettistica, la pittura, nonché
la pubblicazione di opere, a carattere divulgativo, in collaborazione con la
Casa Editrice Labor di Milano.
E a Milano, dove il fascismo è nato e muore, egli celebrerà la Liberazione,
insieme all’amico sindaco, Antonio Greppi, che gli sarà accanto quando i
suoi concittadini, chiamati per la prima volta a libere e democratiche elezioni,
lo vorranno primo cittadino di Magenta, a conferma della stima e
dell’affetto che nutrono per lui. E’ il 17 giugno 1946.
Nella consapevolezza che “tutto è da rifare, da ricostruire, da riconsacrare”,
egli intende il suo mandato come occasione storica irripetibile per fondare
un nuovo modello di cittadinanza, basato sulla libertà riconquistata,
a presidio di una democrazia ancora fragile. L’impegno assunto, insieme
ai membri della giunta socialcomunista, è formidabile: dal ripristino dei
fondamentali servizi urbani alla predisposizione del piano regolatore, dai
lavori pubblici per dare sollievo alla disoccupazione all’edificazione delle
case popolari, dall’assistenza sociale al potenziamento dell’istruzione pubblica,
dall’istituzione della “fiera campionaria” cittadina all’erezione dello
stadio comunale. Lo sforzo intrapreso viene ricompensato con l’elevazione
di Magenta al titolo di “città” nel maggio 1947.
La sofferta esperienza amministrativa, in epoca prefascista, e la constatazione
che manca all’appello, nelle file del partito, un’intera generazione
di sindaci e consiglieri, lo inducono a entrare nel consiglio direttivo del
“Centro di consulenza dei Comuni democratici della provincia di Milano”,
organismo di supporto agli enti locali di sinistra, a difesa del decentramen20
to amministrativo, uno dei fondamenti della tradizione antiautoritaria e
antistatale socialista.
La riconferma a sindaco nel 1951 apre una fase contrasta del governo della
città. Il clima politico, dettato dalla logica della guerra fredda, con l’allineamento
del partito socialista alla bandiera dell’Unione sovietica, richiede al
Fontana di perseguire un difficile equilibrio, sia nella dialettica interna alla
sua giunta, sia nel confronto serrato, a tratti ostile, con l’opposizione democristiana.
Emerge in lui allora più distintamente un abito mentale a lungo
coltivato, quello di una spiccata autonomia di pensiero, alieno dai miti
e dall’obbedienza di partito, così pure la conferma del valore della singola
individualità, rispetto ad ogni dogma politico o religioso. In questo delicato
corso amministrativo, che coincide con l’ultima stagione della sua vita,
traspare, con maggiore evidenza, la visione di un uomo che, consapevole
del limite e dell’insufficienza della sua fede politica rispetto alla propria
inquietudine esistenziale, testimonia, con una costante tensione morale e
una forte assunzione di responsabilità, la sua passione civile al servizio del
bene della sua città.